Buone prassi presso il Cuav Metamorfosi di Chieti

A livello internazionale ed europeo, nell’ottica della prevenzione e responsabilizzazione, i programmi di intervento rivolti agli uomini autori di violenza sono raccomandati e incoraggiati da molti anni.

L’esperienza italiana è invece decisamente più recente. Piccoli gruppi o singoli studiosi hanno iniziato ad affrontare il tema della violenza dalla prospettiva maschile già negli anni ‘80 e ‘90, ma per parlare di interventi più mirati bisogna attendere gli anni 2000.

Oggi in Italia i centri che lavorano con gli autori di violenza sono oltre cinquanta, con metodologie e azioni differenti, che spesso combinano proposte diverse.

La maggior parte di essi sono riuniti nell’associazione “Relive, Relazioni libere dalle violenze”, che ha ripreso le linee guida del Work With Perpetrators-European Network, la rete europea fondata nel 2014.

Premettendo che non è assolutamente possibile né auspicabile prendere un qualsiasi programma di lavoro ed estrapolarlo dal contesto politico e culturale nel quale opera, sicuramente merita una riflessione capire cosa hanno in comune le molteplici esperienze in questo campo.

Nel riflettere su alcuni dei principali programmi, come equipe, abbiamo ravvisato alcuni punti essenziali che fanno da cornice anche al nostro metodo di lavoro. Analizziamoli uno ad uno:

  • In tutti gli interventi assume grande rilevanza ad una prima fase di valutazione del rischio e delle effettive possibilità di riuscita del percorso per il partecipante. Nel nostro lavoro al Cuav Metamorfosi questo viene fatto attraverso un minimo di cinque colloqui individuali con l’uomo. L’obiettivo principale è quello di fare un’attenta e precisa valutazione della situazione, una sorta di fotografia del momento presente, che ci possa fornire una chiara indicazione sull’ammissibilità o meno dell’uomo al percorso successivo.
  • Dopo la prima fase, gli interventi prevedono uno step successivo nel quale il partecipante è invitato ad aderire ad un accordo più o meno strutturato riguardante il percorso stesso. All’interno di Metamorfosi questo step si concretizza attraverso la firma di un vero e proprio patto di collaborazione tra noi e l’utente.
  • La maggior parte dei programmi predilige il lavoro di gruppo, che può essere accompagnato anche da un supporto individuale. La preferenza per il trattamento in gruppo è correlata all’impostazione “psicoeducativa”, preferita soprattutto nei programmi dell’area anglosassone, secondo la quale la violenza è un comportamento appreso culturalmente e socialmente che occorre disimparare. Nel gruppo inoltre si rompe l’isolamento tipico del fenomeno della violenza domestica perché si decostruisce l’abitudine al silenzio, alla cosiddetta “porta chiusa”. Nel nostro centro viene la priorità assoluta è quella del lavoro di gruppo, cassa di risonanza e contenitore emotivo principale delle esperienze personali, motore principale del confronto e del cambiamento.
  • L’approccio teorico prevalente nei vari centri spesso è quello cognitivo-comportamentale, utile per portare l’individuo a comprendere gli aspetti disfunzionali come quelli funzionali del suo agire violento. Gli operatori del nostro centro possiedono tutti una formazione specifica sul tema della violenza di genere e all’interno dell’equipe viene adottata principalmente una visione sistemico relazionale. Questo si traduce operativamente nel mettere in risalto l’unicità e la complessità di ciascuna situazione, conciliando l’attenzione al singolo e ai suoi vissuti personali con uno sguardo più ampio sulle dinamiche di coppia, familiari e socio-culturali.
  • Nelle vari esperienze nazionali ed internazionali c’è convergenza nell’escludere il ricorso a terapie di coppia e a mediazione familiare, ritenute pericolose perché consentono all’uomo di mantenere il suo potere e la sua capacità di manipolazione. Anche noi aderiamo in toto a questa buona prassi, chiarendo da principio che nel nostro centro non offriamo questi servizi ma lavoriamo solo ed esclusivamente sulle tematiche legate alla violenza di genere.

Punti comuni nei diversi programmi riguardano anche i contenuti dell’azione terapeutica con l’autore, il quale deve:

  •  Riuscire a riconoscere tutte le forme di violenza agite, non solo le più “appariscenti”, quella fisica e quella sessuale, ma anche quella psicologica, emotiva, economica, verbale ecc.;
  • Assumersi la responsabilità dei comportamenti violenti senza nessuno spazio alla negazione, minimizzazione e giustificazione;  
  • Divenire consapevole della sofferenza prodotta nella donna e nei figli/e anche quando questi/e sono “solo” testimoni di violenza, e non la subiscono direttamente, sviluppando capacità empatiche spesso assenti;
  •  Prendere coscienza degli stereotipi culturali legati al maschile e al femminile rispetto ai ruoli, alla sfera psicoemotiva e alla sua espressione;
  •  Elaborare strategie individuali per arrestare il processo psicoemotivo interiore che porta all’esplosione della violenza.

Tutti questi punti precedenti fanno parte degli obiettivi che ci auguriamo ogni utente possa  raggiungere attraverso il lavoro svolto insieme.


Commenti

Lascia un commento

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *