La violenza non è esasperazione: smettiamola di normalizzare il femminicidio come reazione.

Il caso dell’omicidio di Sofia Stefani sta attirato grande attenzione mediatica, soprattutto dopo la decisione del Gip di Bologna di concedere gli arresti domiciliari a Giampiero Gualandi, ex comandante della polizia locale di Anzola Emilia, accusato di omicidio volontario aggravato. https://www.today.it/cronaca/giampiero-gualandi-omicida-sofia-stefani-domiciliari.html

Sofia Stefani, ex collega di Gualandi, è stata uccisa lo scorso maggio, e il sospettato ha dichiarato che il colpo di pistola sarebbe partito accidentalmente durante una colluttazione negli uffici del comando.

Gli esiti delle perizie balistiche e biologiche finora non hanno fornito certezze definitive. Ad esempio, l’assenza del DNA della vittima sull’arma e la traiettoria del colpo sollevano dubbi sull’accidentalità dell’evento, e ulteriori accertamenti sono in corso.

Ciò che però ci colpisce, come operatori di un centro per uomini autori di violenza, è il fatto che il Gip abbia motivato la decisione ritenendo che il gesto non fosse premeditato, ma scaturito da un momento di tensione emotiva, dichiarando altresì che questo fattore riduce dunque il rischio di recidiva, poiché tali condizioni, secondo il giudice, non possono ripetersi in ambito domestico, né con la moglie né con altre persone.

La decisione del Gip di concedere gli arresti domiciliari solleva un acceso dibattito non solo per le implicazioni processuali, ma anche per la lettura che offre della violenza. Secondo il giudice, il gesto sarebbe stato dettato da esasperazione e tensioni legate al rapporto extraconiugale tra i due, che stava troncandosi. La perdita di autocontrollo, in altri termini, per il giudice è sostenibile “in una situazione di pressione emotiva e di stress che l’ambiente domestico non esibisce né genera, né si può pronosticare che possa insorgere”.

Un’interpretazione che si allontana completamente dal mettere in luce la responsabilità da parte dell’imputato. Questo approccio non riconosce che la violenza è sempre una scelta, indipendentemente dai contesti relazionali o emotivi che la precedono.

Le argomentazioni del Gip rischiano di normalizzare la violenza come una conseguenza inevitabile di situazioni difficili, quando invece è un atto deliberato che riflette una mancanza di controllo e rispetto.

Tale lettura ignora l’importanza di sottolineare la responsabilità individuale in atti così gravi, un aspetto fondamentale sia per la giustizia che per la prevenzione futura.

Inoltre, la decisione non considera adeguatamente le implicazioni simboliche di misure cautelari attenuate per reati così gravi, rischiando di inviare un messaggio ambiguo sull’importanza di contrastare la violenza di genere come fenomeno strutturale e non episodico.

Il provvedimento del Gip non solo lascia interdetti i familiari della vittima, ma solleva disappunto anche tra noi operatori che lavoriamo con gli uomini autori di violenza, fondando il nostro intervento sulla piena assunzione di responsabilità: un principio imprescindibile per qualsiasi percorso di cambiamento reale.


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